8. FOLLIA E MALATTIA MENTALE
La Follia intesa nel gergo comune come malattia mentale e la
conseguente normalità: qual è il confine?
Possiamo considerare il confine tra normalità e patologia
come un sottile filo nel quale cerchiamo di destreggiarci come un equilibrista.
E se perdessimo l’equilibrio?
Nel corso degli anni si è cercato di dare definizioni chiare
che potessero fungere da bussole orientative per la pratica clinica e per la
società, ma tale compito si è rivelato alquanto arduo e complesso in quanto ci
si imbatte in dimensioni eterogenee difficili da circoscrivere. Dimensioni
quali salute, benessere, normalità, follia e patologia spesso si mescolano in
un disordine semantico con il rischio di non raggiungere risultati che godano
di chiarezza e validità.
Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), con l’espressione salute mentale ci riferisce ad uno stato di
benessere emotivo e psicologico attraverso cui l’individuo è in grado di
utilizzare le sue capacità cognitive o emozionali. Tale nozione implica:
1 - l’instaurarsi di relazioni interpersonali
armoniche;
2 - tollerare gli eventi stressanti interni ed
esterni;
3 - stabilire un idoneo adattamento alla realtà;
4 - costruire una funzionalità socio-lavorativa;
5 - costruire relazioni affettive stabili.
Tuttavia il concetto di salute è stato nel tempo,
indissolubilmente associato a quello di normalità, e dunque sorge spontanea la
domanda: cosa si intende per normalità? E quale significato ha invece
l’anormalità?
Il concetto di normalità o meglio “norma” è andato a
configurarsi come standard che una società deve seguire, un vestito da
indossare e di conseguenza un comportamento che vada ad allontanarsi dalle
norme imposte da una società è stato nel tempo considerato anormale. Il termine
“anormale” significa letteralmente al di fuori della norma, al di fuori di un
trend statistico.
Nel corso della storia, infatti, le varie società hanno
etichettato la figura dell’anormale, del deviante, del folle, così da
giustificare movimenti di repressione o di controllo dell’ordine sociale,
(pensiamo all’anormalità degli ebrei dichiarata da Hitler per giustificare
l’olocausto) costruendo sistemi e meccanismi di esclusione ed emarginazione di
ogni forma di diversità e disadattamento, istituendo talvolta apparati e
meccanismi burocratici “normalizzatori” aventi lo scopo di indirizzare verso il
flusso del potere vigente.
“La Follia e il Folle diventano personaggi importanti nella
loro ambiguità: minaccia e derisione, vertiginosa irragionevolezza del mondo e
meschino ridicolo degli uomini”. La figura del Folle, come delineato da
Foucault, ha assunto connotazioni differenti nel corso del tempo; se durante il
Medioevo l’essere Folle equivaleva ad essere toccati dal demonio
successivamente i Folli e i malati saranno integrati in un’unica categoria
affidata al potere-sapere e a cure specialiste.
Inoltre, bisogna tenere presente che il concetto di
anormalità va a mutare nel tempo e da cultura a cultura, assumendo nuove
concezioni: ciò che un tempo era considerato inaccettabile oggi diventa
consuetudine, ciò che per una società è caratterizzante e peculiare diventa
inadattabile in un’altra società. Usi, costumi e standard di comportamento
hanno accezioni diverse in paesi ed epoche differenti. Si tratta di un fenomeno
variabile in perenne evoluzione generato dal peso dell’esperienza culturale.
Proprio come la moda si modifica nel tempo, così anche il concetto di
anormalità. Nella cultura islamica, ad esempio, se una donna non avesse il capo
coperto sarebbe considerata “violatrice” della normalità presente, dunque
perseguibile dalla legge. In alcune religioni induiste, esperienze
allucinatorie o di possessione vengono considerate come fattori di maggiore
santità, da venerare con riti e divinazioni; al contrario nella società
occidentale viene attribuita a tale fenomeni una direzione patologica.
Nel recente tragico passato, la diagnosi psichiatrica ha
accompagnato il regime totalitario, in un processo di categorizzazione in
riferimento allo status patologico del deviante (come l’omosessualità, la
disabilità). Nonostante si sia verificato un miglioramento del ruolo della
psichiatria e delle considerazioni della società, questioni dibattute sono
presenti anche oggi, ad esempio riguardo le famiglie omogenitoriali, accettate
soltanto in alcuni paesi.
Vista dunque tale complessità, quali parametri bisogna utilizzare? La
psichiatria ha cercato di conquistare la chiave di lettura per la comprensione
della dimensione patologica utilizzando diversi criteri:
1. Malattia come sofferenza soggettiva:
Etimologicamente parlando, il termine malattia rimanda ad una condizione di
sofferenza e dolore. Tuttavia tale criterio di morbilità appare debole in
quanto alcune condizioni patologiche non rinviano al dolore bensì
all’eccitamento come stato prevalente, inoltre la sofferenza soggettiva non
necessariamente diventa stato patologico;
2. Malattia come devianza statistica: è
normale ciò che risulta maggiormente frequente nella popolazione (
distribuzione gaussiana o normale). Tale criterio appare fragile in quanto una
condizione che sia rara non necessariamente va considerata come limite e dunque
come potenziale patologia;
3. Malattia come differente fisiologia del cervello e del corpo: presupposto di
norma è la funzionalità organica (SNC, sistema endocrino ecc.);
4. Patologia come disfunzione: una condizione
patologica deve implicare una diminuzione della funzionalità in uno o
più contesti di vita.
L’ultimo criterio di morbilità sembra aver ricevuto maggiori
conferme in quanto focalizzando l’attenzione sulla funzionalità dell’individuo
si avrà una minore probabilità di incorrere in rischi di giudizio, tuttavia il
potere dei pregiudizi culturali e dell’influenza sociale rappresenta un rischio
ancora possibile. Per questo, bisogna sempre tenere presente che quando ci si
approccia alla patologia, non abbiamo davanti etichette diagnostiche ma persone
con determinati fattori di resilienza (intesa come la capacità far fronte
positivamente agli eventi traumatici), e fattori di vulnerabilità.
Le statistiche dimostrano inoltre quanto la probabilità di
sperimentare alcuni problemi di salute mentale non sia un’eventualità così
rara. Il 17,5% delle donne della popolazione statunitense ha sviluppato nel
corso della vita disturbi d’ansia, IL 18,5 % disturbi dell’umore, mentre il 9,3
% della percentuale maschile ha sperimentato disturbi dell’abuso di alcol. Notiamo
una diversa distribuzione tra genere maschile e femminile, mentre le donne
hanno una probabilità doppia di incorrere in disturbi dell’umore, disturbi
d’ansia, e tripla per i disturbi alimentari; gli uomini presentano maggior
rischio in riferimento ai disturbi dello spettro autistico, e all’abuso di
alcol e sostanze psicoattive.
Concludendo possiamo affermare che non esiste una linea
rigida di separazione tra tratti patologici e funzionamento normale in quanto
entrambi rappresentano gli estremi di un continuum sul quale agiscono
molteplici elementi tra cui le risorse psichiche dell’individuo, i fattori
ambientali, il substrato genetico e le esperienze relazionali precoci. Quindi
quale educazione adottare? Sicuramente un sistema fondato sulla prevenzione e
sul dialogo mitigando la tendenza alla esclusione della diversità ed acquisendo
la consapevolezza che l’essere umano è caratterizzato da fattori di
vulnerabilità e debolezza che tuttavia possono evolversi in elementi di
risorsa.
Per Reeko contro queste tesi, la Follia non è una malattia mentale, bensì esattamente l'opposto: la Follia per Reeko è
L'UNICO STRUMENTO attraverso cui Federico nei panni di Reeko, è riuscito a superare "Andando Oltre" L'
INCONTRO CON IL VERO DOLORE conducendolo ad uno stato di
FELICITA INTERIORE VERSO UN COMPLETAMENTO ULTIMO DI SE STESSO.
TORNA A
GLI ASPETTI E LE CARATTERISTICHE DI SUA MAESTA' FOLLIA